"La vecia Carela la ga ‘n boivin
co ‘na bote de Marzemin
la sen cava na pignatela
salti e peti la vecia Carela?"
Questo da una vecchia filastrocca levegana (grazie alla signora Flavia Espen per avercela segnalata). La parola boivin non è quindi una invenzione di famiglia, ma nel dialetto locale indica il luogo dove il mosto "bolle", cioè fermenta.
Fin da piccolo scendevo "nei volti" per poi portare il vino alla "nona vecia", e l’oscurità del luogo metteva paura, ma allo stesso tempo affascinava.
Poi, negli anni ’60, il papà Giancarlo risanò stalle ed avvolti dell’antica casa di famiglia per dare vita al Boivin, locale in cui passare la notte bevendo vino (ricordo il mitico Blauburgunder di Hofstätter del ’64, i bianchi di Novacella) e mangiando speck e schuttelbrot (all’epoca andavamo a comperarlo dai contadini sull’alpe di Siusi).
Da allora sono cambiate molte cose, ma l’idea di partenza ha continuato a fare da filo conduttore tra i vari episodi della vita del locale: un luogo conviviale, un luogo che privilegia il rapporto con i vini ed i cibi della regione, un luogo in cui l’arte di accogliere e prendersi cura dell’ospite viene coltivata da cinque generazioni.
I piatti in carta -circa una dozzina-, più i piatti del giorno, un menu a tema ed un menù degustazione basato su assaggi di antipasti e primi piatti seguono il ritmo delle stagioni: appena si scioglie la neve, iniziamo con le erbe di campo, le erbe spontanee come il tarassaco, la silene, la valeriana; a maggio in cucina entrano anche i fiori eduli di una gran varietà di piante; a giugno i piccoli frutti e la ciliegia, d’estate i funghi ed i prodotti di malga, in autunno la mela ed i marroni dei Masi di Roncegno.